Video-diario sul conflitto in Euskal Herria

Da mezzo secolo nei Paesi Baschi si combatte una guerra civile a bassa intensità che è costata migliaia di morti, quasi sempre vittime innocenti: da una parte Madrid e i sostenitori dell’unità nazionale, dall’altra un movimento indipendentista irriducibile e i militanti di Eta, l’organizzazione armata basca. L’Unione Europea ha finora evitato di inserire questo scontro sanguinoso per l’indipendenza nella sua agenda politica, occupandosi di questioni meno scomode sul piano diplomatico. Dopo una stagione di bombe, attentati, omicidi, Eta ha proposto al governo di Zapatero una tregua a tempo indefinito per cercare una soluzione pacifica al conflitto, dando nuove speranze alla società basca.

For over a half century in the Basque Country a civil war, fought at low intensity, has been going on. It has cost thousands of deaths, almost always innocent victims: on one side there are Madrid and the supporters of national unity, while on the other an indomitable independence movement and militants of the ETA, the armed Basque organization. European Union has so far avoided to insert this bloody clash for independence in its political agenda, dealing with less diplomatically inconvenient issues. After a season of bombs, outrages and murders, Eta proposed to Zapatero’s Government an open/ended ceasefire to search for a pacific solution to the conflict, giving new hopes to the Basque society.

martedì 11 settembre 2007

Ritorno al passato

Disattivata un'autobomba dell'ETA a Logroño.
A San Sebastian decine di feriti a una manifestazione per l'amnistia

10 settembre 2007 - Un ritorno al passato. Le ultime ore sono la dimostrazione più tangibile di che cosa abbia significato la rottura del processo di pace e l'incapacità di gran parte della politica spagnola e basca, di riprendere almeno il filo del negoziato politico, mentre la via militare è stata riattivata dall'organizzazione armata. I fatti: l'autobomba. Ieri sera una telefonata anonima al centralino del quotidiano basco Gara. Il telefonista dà le esatte coordinate di un'autobomba , a Logroño, nella calle Antonio Sagastuy, proprio a pochi metri dalla delegacion del ministero della difesa. La polizia si precipita, arrivano gli artificieri. L'ora prevista per il botto, le 23.00, passa senza che accada nulla. Le lancette scorrono fino alle 23.30, quando si verifica una piccola esplosione. E' il detonatore che, però, non ha innescato l'esplosivo. Il quarto attentato di ETA dall'annuncio della rottura della tregua non è riuscito. Questa mattina gli artificieri sono riusciti a rimuovere le sostanze esplodenti. Erano dentro una Ford Fiesta verde, con targhe false. C'erano 80 chilogrammi di esplosivo pronti a saltare. Ma che, fortunatamente, sono rimasti dentro due grandi contenitori, ben saldati alla pavimentazione dell'automobile, con vicino una tanica con cinque litri di benzina. I fatti: la repressione a San Sebastian. Domenica 9 settembre è stata anche la giornata della repressione di una manifestazione convocata a Donosti – San Sebastian - dal movimento pro amnistia. Il governo basco ha inviato fin dalle prime ore della giornata un contingente rinforzato di ertzaintzas, i poliziotti autonomi, in tenuta antisommossa, i passamontagna sotto i caschi rossi, palle di gomma e candelotti lacrimogeni montati sulle canne degli appositi fucili. Quando le prime fila dei manifestanti hanno raggiunto il cordone di polizia è partita la carica. Secondo le cronache del quotidiano Gara gli scontri che sono seguiti nel centro storico della città sono proseguiti almeno qutattro ore. Da una parte i reparti antisommossa, dall'altra giovani incappucciati che lanciavano tutto quello che trovavano, dalle bottiglie di birra alle sedie e tavolini dei caffè che animano le strade del Casco Viejo. Alla fine si sono contati nove arresti, ma il numero dei feriti rimane incerto, anche perché chi rimane ferito nella guerriglia urbana preferisce evitare i centri di soccorso pubblici. Un barelliere della Croce Rossa ha raccontato di essere stato fermato, e in malo modo, dalla polizia, mentre cercava di soccorrere un'anziana di 86 anni, caduta per terra nel corso degli scontri. Fra gli arrestati anche un esponente di rilievo del movimento pro amnistia, Juan Mari Olano. [Angelo Miotto]

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L'analisi dello scrittore Giovanni Giacopuzzi

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Paesi Baschi. Cosa resta del processo di pace

25 febbraio 2007 - Oggi nei Paesi Baschi si parla ancora di processo di pace. Ne discutono i partiti nazionalisti, fra cui il Partito Nazionalista Basco di governo, di fronte al silenzio del Partito Socialista di Euskadi, dopo l’attentato di Barajas, e alle perenni provocazioni della destra del Partito Popolare basco. Ne parla ETA a partire dal comunicato paradossale di inizio anno, in cui rivendicando l’attentato al terminal 4 di Madrid, riaffermava la tregua a tempo indefinito. Ci credono i sindacati baschi Ela e Lab, maggioritari fra i lavoratori baschi. Oltre a Batasuna, il movimento della sinistra indipendentista, illegale dal 2002, vero e proprio motore delle condizioni politiche per arrivare al negoziato. Bastano poche centinaia di chilometri per catapultarsi in una situazione del tutto differente. Perché la possibilità di un esile filo da riannodare non pare scorrere nei pensieri della società spagnola. Lo dice un’indagine del CIS, il centro di Indagine Sociale di Madrid: l’incubo degli spagnoli è tornato a essere il terrorismo, che nei mesi di negoziato aveva lasciato il primo posto all’immigrazione. Difficile aspettarsi un risultato diverso: l’attentato di ETA che pochi, anche da parte basca, sembravano aspettarsi, è avvenuto il giorno successivo al discorso di fine anno di José Luis Rodriguez Zapatero. Il premier annunciava progressi nel futuro della lotta antiterrorista.

Le parole utilizzate dal governo spagnolo in seguito alla rottura ‘di fatto’ della tregua sono state definitive: processo di dialogo interrotto, finito. Restano però i dubbi che giocano sulle parole pronunciate a caldo da Zapatero quando annunciò una sospensione - e non interruzione come si corresse in seguito - del dialogo. L’attentato, secondo ETA, rispondeva ai ripetuti attacchi contro Euskal Herria: arresti, torture, persecuzione di militanti legati a Batasuna. E cercando di lanciare un avvertimento drammatico allo Stato, quattro piani rasi al suolo e due morti non cercati sotto le macerie, colpiva anche Zapatero. Il premier è sempre stato cosciente della fragilità di chi siede al tavolo di trattativa con una organizzazione armata potendo parlare solo a nome di un governo, ma non di una nazione. Il Partido Popular non ha mai assecondato il negoziato. Ha cercato, anzi, di ostacolarlo con mezzi di propaganda mediatica e con gli interventi di molti magistrati che furono nominati nei dieci anni di Aznaridad. La pressione della destra, forte, ha condizionato molte scelte del Governo, che in sei mesi non ha mosso nemmeno una pedina sul fronte della politica carceraria, dell’avvicinamento dei prigionieri politici oggi in regime di dispersione. 400 chili di esplosivo, Barajas, hanno eroso il vantaggio dei socialisti sulla destra: secondo le inchieste ci sono 1,2 punti percentuali che li separano dai popolari. È il vantaggio più stretto dal 2004, a tre mesi dal voto amministrativo. Zapatero ora vuole radicalmente modificare il Patto Antiterrorismo, nato esclusivamente fra i popolari e i socialisti, per aprirlo anche a forze nazionaliste. Ma la destra rema contro. È in questo contesto che la sinistra indipendentista basca rilancia. Batasuna aveva presentato ad Anoeta nel 2004 un metodo preciso per il processo di pace: due tavoli, uno politico con partiti e agenti sociali baschi, l’altro tecnico militare con Stato spagnolo ed ETA a trattare su vittime, prigionieri, armi, rifugiati. Batasuna sa perfettamente che il binario delle conversazioni fra l’organizzazione armata e Madrid è interrotto. Quindi cerca di riattivare il tavolo politico, senza abiurare la sua richiesta di autodeterminazione e indipendenza.

L’ obbiettivo intermedio che possa riunire il consenso di più formazioni sta nel costruire un’ unica entità territoriale fra Comunità Autonoma Basca (Bizkaia, Alava e Guipuzkoa) e Navarra. Ne nascerebbe, dopo un referendum popolare, una nuova entità con un proprio statuto di autonomia, sempre sotto la Costituzione spagnola. Ma il disegno dei territori storici da riunificare, che comprendono anche le province basche oggi amministrate da Parigi, inizierebbe a prendere una forma. La proposta è stata accolta con un brusio di favore dal ventaglio politico del nazionalismo basco, con un silenzio interessante dalla politica spagnola, a eccezione della destra. Ciò che non viene rigettato immediatamente si ferma e germoglia. I problemi restano, comunque. Uno è rappresentato dalla magistratura spagnola, legata a doppio filo alle nomine espresse nei due mandati politici di José Maria Aznar. Un altro riguarda la sinistra indipendentista, che sta affrontando un duro dibattito interno. Infine il caso di Iñaki de Juana Chaos, il prigioniero politico che, scontata la pena per gli omicidi commessi, si è ritrovato altri anni di carcere per aver scritto due articoli sul quotidiano basco Gara. Per i giudici sono minaccia terroristica. De Juana è in sciopero della fame. È stato alimentato in maniera coatta. Rischia di morire da un momento all’altro.

Maggio 2007, il voto amministrativo, è la linea d’orizzonte da tenere come riferimento: Batasuna dice che sarà presente nelle liste elettorali. Potrà farlo solo grazie a un superamento della legge che l’ha espulsa dal gioco democratico, oppure attraverso il voto nullo, con una scheda elettorale prestampata come è già avvenuto in questi anni. La prima opzione oggi appare fantapolitica. Anche se a Madrid c’è la consapevolezza che senza la presenza di un interlocutore come Batasuna, piaccia o non piaccia, non c’è processo possibile.

La spirale di ETA

Quattro arresti, di peso sostiene Madrid, nelle ultime ore. Sarebbero il 'nucleo' del commando che fece saltare il terminal 4 dell'aeroporto Barajas

2 novembre 2007 - Un'operazione di polizia di "enorme importanza". Perfino le agenzie spagnole fanno notare come il ministro degli interni spagnolo Alfredo Perez Rubalcaba abbia ripetuto più volte questa espressione, dopo l'operazione franco-spagnola nella cittadina di Cahors, davanti ai giornalisti. Il ministro e il governo non hanno nascosto la soddisfazione per quello che viene considerato un duro colpo per l'organizzazione armata basca. A Cahors gendarmi e guardia civil hanno arrestato quattro persone. Fra loro un veterano dell'organizzazione, considerato il massimo esperto di esplosivi di ETA. E gli altri farebbero parte del commando che organizzò e portò a termine l'attentato all'aeroporto Barajas di Madrid, il 30 dicembre del 2006. Fra loro anche Ohian Barandalla Goñi, che è stato presentato come uno stretto collaboratore di Garikoitz Aspiazu “Txeroki”, considerato il capo della struttura militare dell'ETA.

I numeri. A scorrere le dichiarazioni del ministro degli interni spagnolo, però, sono i numeri che richiamano l'attenzione. Con i quattro arrestati delle ultime ore sono 26 le detenzioni effettuate dalla fine della tregua, il 5 giugno scorso. 96 i presunti etarras arrestati, invece, dall'inizio della tregua, marzo 2006. E ben 327 dall'inizio della legislatura, dopo il voto storico del marzo 2004 che riportò i socialisti alla Moncloa, il palazzo di governo. Non è così risaputo, perché non viene mai scritto o detto, che non tutti gli arrestati sono colti in flagranza di reato. Anzi. Molto spesso, nella maggior parte dei casi, quello che attende un arrestato per terrorismo è un periodo lungo di carcere preventivo, sia in Spagna, sia in Francia.

In Spagna, poi, ci sono i cinque giorni di incomunicacion, in cui non si possono avere contatti con altri che non siano gli ufficiali che interrogano, un medico forense e un avvocato di ufficio. Medico e avvocato, spesso, non raccolgono le denunce di violenze e maltrattamenti che trovano spazio ogni anno sul report di Ammesty international. Ma torniamo ai numeri, perchè c'è un evidente paradosso fra le dichiarazioni della politica, socialisti in testa, che parlano di un'organizzazione destinata a scomparire e bloccata più volte nel corso degli ultimi mesi. Il secondo dato, quello degli attentati sventati, è certificato dai tentativi andati a vuoto o dalle segnalazioni di militanti in fuga, il camper fatto esplodere pochi giorni da un commando che si sentiva braccato da vicino.

Ma il primo dato, quello su un'organizzazione destinata a spegnersi, pare essere contraddetto proprio dai numeri del ministro. Perchè se è vero – e non lo è del tutto – che dal 2004 sarebbero stati arrestati 327 militanti di ETA, ci troveremmo di fronte a una organizzazione di lotta armata di dimensioni incredibili e in stato di ottima salute nel reparto 'reclutatori'. La fretta della comunicazione, forse, ha evitato un distinguo fra gli arrestati, i rilasciati senza pendenze, quanti sono finiti in carcere preventivo e attendono ancora una condanna di primo grado, in Spagna e in Francia, e tutti quelli che sono stati arrestati per reati di devastazione, che dalla riforma Aznar del codice penale sono divenuti atti di terrorismo ( danneggiare infrastrutture urbane, bancomat, cabine del telefono, mezzi pubblici in quella che viene chiamata la kale borroka, guerriglia urbana).

Le elezioni di marzo 2008. la fretta del messaggio e i numeri che impressionano, forse, dipendono più dal fatto che i socialisti oggi al governo hanno tutta intenzione di rimanerci. E che fra sette mesi si vota per le legislative. Il tentativo di processo di pace è fallito e Zapatero vuole recuperare un'immagine di fermezza sul fronte della lotta a ETA e quella di un presidente dalle grandi riforme sociali. Ma, se le riforme sociali sono ben più abbordabili – ci sono 30 progetti di legge già ben avviati e che verranno approvati entro la fine della legislatura – sulla lotta a ETA il premier spagnolo deve far dimenticare il volto della trattativa.

Ecco che quei numeri sugli arresti, 26 da fine tregua, 96 dall'inizio della stessa e 327 dall'inizio della legislatura, passano inesorabilmente sotto la lente del marketing elettorale. O, almeno, il sospetto lo lasciano. Oppure dicono tutta un'altra cosa: che nei Paesi Baschi ci sono ancora decine e decine di giovani che sono pronti a fare il salto: clandestinità o complicità, mantenendo una facciata di normalità. Se così fosse, non basterebbero e non basteranno le centinaia di arresti realizzati in tre anni e mezzo. Perchè l'Eta, dicono gli esperti, è come una spirale che continua a girare. Ogni operazione ne taglia via un pezzo, ma la spirale gira e si autogenera dal punto originario. Non sono centinaia e centinaia, ma sicuramente tanti: per ogni arresto che avviene, due o tre persone scappano dalle loro case. E per ogni giorno che passa senza trovare una soluzione, ci sarà sempre una lettera consegnata a mano nella casella della posta di qualche giovane, in ogni paesino e città di Euskal Herria. È la lettera che offre di entrare nell'organizzazione.


Paese Basco: processo interrotto?

22 marzo – 30 gennaio 2006
Un attentato all’aeroporto di Barajas, Madrid, chiude la prima tappa della tregua a tempo indefinito di E.T.A. Viaggio fra i protagonisti del mondo indipendentista


Sono le 8.00 del 30 gennaio 2005. Una, poi due telefonate squillano al centralino dell’Sos Deyak basco, il pronto intervento. Due telefonisti anonimi, il secondo parla a nome di ETA. C’è un furgone nel parcheggio dell’aeroporto della capitale. È al terminal T4. Esploderà alle 9.00 in punto. “Cercare di disattivarlo sarebbe vano e pericoloso” avverte uno dei telefonisti. Le chiamate sono state realizzate da un telefono mobile e da una cabina pubblica di San Sebastian. Scatta il piano di allerta massimo nella capitale spagnola. Il parcheggio viene evacuato, ma due cittadini ecuadoregni che stanno dormendo restano nelle loro auto. Il boato, il fumo, l’incendio. Cinque piani che crollano. E macerie. Che mettono fine a una prima tappa del cosiddetto processo di dialogo basco.

Processo sospeso Anzi, interrotto. Ma manca un comunicato
Nel giro di cinque ore dal fragoroso e drammatico botto è il momento di capire quali saranno le reazioni all’attentato. Un fatto stupisce: ETA nelle precedenti occasioni storiche - le conversazioni di Algeri del 1989 e la tregua di Lizarra Garazi nel 1998 – aveva rotto la tregua con un comunicato, cui aveva fatto seguito la ripresa della lotta armata sul campo. Qui non c’è nessun comunicato. Un formalismo, non esente da particolari interessanti di speculazione politica, che fa apparire l’attentato come una leva tattica, quindi una ‘azione’ ad alto livello di rischio, ma senza voler interrompere un processo di dialogo. Uno strumento per intervenire in uno stallo delle trattative di ormai molte settimane e di accordi segreti non rispettati. Il governo socialista parla prima con il ministro dell’interno Alfredo Perez Rubalcaba: con violenza non c’è dialogo, è il messaggio. Poi è la volta di Batasuna, ore 17.00 del 30 gennaio. Arnaldo Otegi ripete per due volte: “Il processo per noi non è rotto”. Alle 18.00 è previsto il discorso del premier spagnolo José Luis Rodriguez Zapatero. “Ho dato ordine di sospendere immediatamente tutti i contatti per il dialogo”. Il premier dice ‘sospendere’. In due giorni la pressione dell’opposizione postfranchista del Partido Popular obbligherà i socialisti e il governo a dire in maniera più che mai evidente che il dialogo è rotto, che il processo è in un binario morto. Parole definitive, almeno così suonano, mentre le prime reazioni a caldo del premier, incalzato dai cronisti, prendevano una strada diversa: “Il dialogo potrebbe riprendere soltanto con una dimostrazione inequivocabile della volontà di abbandonare la violenza da parte di ETA”.

Accordi segreti
Zapatero ha passato una pessima fine d’anno. Il 29 dicembre, di fronte a tutta Spagna affermava: “Oggi sul tema del terrorismo stiamo meglio di un anno fa, e il prossimo anno staremo ancora meglio di oggi”. Poche ore dopo esplodeva il furgone di Barajas. Un tempismo sicuramente odioso per un politico del suo calibro. E dieci giorni prima dell’attentato le fonti di stampa ben informate riportavano del primo incontro ufficioso fra rappresentanti di ETA e del governo spagnolo. Due giorni in un paese europeo a scambiarsi reciproche accuse, per non essere stati ai patti.

I patti
Quali erano questi segretissimi patti? Non se ne sa nulla di ufficiale,. Ma trapelano alcune tracce dagli scritti interni di ETA e da notizie giornalistiche vicine al governo. Niente attentati, niente kale borroka, il sabotaggio di strada, cambio di nome per Batasuna che deve accettare l’iter previsto dalla legge dei partiti, che l’aveva messa fuori legge, se vuole presentarsi alle elezioni amministrative di maggio 2007, con espressa condanna della violenza. E dall’altra parte riconoscimento di una trattativa politico sulla sovranità dei cittadini baschi, sull’autodeterminazione, un ammorbidimento o forse qualche cosa di più nella politica carceraria, la fine di arresti e retate, perquisizioni e interrogatori che spesso causano denunce per tortura da parte dei fermati. Se questi erano almeno una parte dei patti, poco o nulla è stato rispettato, tanto è vero che ETA – siamo a maggio 2006 – scrive nero su bianco che le promesse non vengono mantenute. Ricomincia la Kale Borroka, la guerriglia urbana di bassa intensità. Atti sporadici, amplificati dalla stampa, ma che crescono nel giro di alcune settimane. L’atteggiamento dei quotidiani vicini al governo cambia.
Zapatero ha un problema grande, come sosterrà Arnaldo Otegi: stiamo trattando con un governo, non con uno stato. Il problema è il principale partito di opposizione che farebbe carte false per far precipitare i negoziati di pace e che centra tutta la sua politica elettorale proprio nel mettere ostacoli e aizzare i propri elettori contro il dialogo. Il governo guarda i sondaggi: la forbice rispetto alla destra tocca il suo punto più basso dalle elezioni del 14 di marzo del 2004. Zapatero non vuole esporsi, anzi risponde a un video propagandistico della destra con un altro video in cui i socialisti si vantano di aver fatto meno di Aznar nel 98 rispetto a gesti di distensione.

Il paradosso
Nelle convulse ore del 30 gennaio, mentre i pompieri cercano di domare un incendio tremendo e di scavare sotto le macerie, si consuma un paradosso. Per settimane Batasuna, di fronte ad arresti, inchieste, proibizione di manifestazioni, ha denunciato che "no hay proceso" non c’è processo. Zapatero serio e con il viso degli argomenti di stato era più ottimista e la stampa filogovernativa parlava di negoziati come se fossero in fase di stanca, ma reali. Il 30 gennaio si rovesciano i ruoli. Batasuna: il processo non si è rotto. Zapatero: non c’è processo di pace. Il paradosso è molto probabilmente una verità a due facce che non si elidono, ma si completano. Ma cercando di guardare un po’ più in là, chi può dire se la famosa hoja de ruta, la road map di Zapatero, non prendesse in considerazione anche una ipotesi estrema, come quella di subire un attentato senza una rottura ufficiale della tregua? La domanda resta, anche perché appare difficile pensare che un premier così di successo nel campo delle garanzie e dei diritti civili, o così capace di rispettare impegni elettorali come il ritiro delle truppe dall’Irak, si faccia sfuggire l’occasione di eliminare l’incubo del terrorismo, che secondo i dati del CIS (Centro de Investigacion Sociologica della presidenza del governo) è la seconda paura degli spagnoli.

Un viaggio, le opinioni
Le interviste che abbiamo raccolto vivono ancora di uno scenario senza attentati, pochi mesi prima della bomba di Barajas. Ma al di là dei mutamenti repentini o meno e delle strategie politiche, è importante capire che cosa si aspettano quanti, all’interno del mondo indipendentista e delle sue sfumature, vogliono davvero vedere un processo di pace. Di chi ha figli o parenti dietro le sbarre, di chi ha vissuto nel timore di un attentato o di chi lo ha subito. Queste sono le loro risposte.

Inaki Egana, storico e scrittore
“Speranza. Spesso ho l'impressione che la speranza sia virtuale: una necessità diffusa nella società di andare oltre una tappa, superare un confltitto. Allora oltre le notizie, oltre le circostanze e la storia stessa, la maggioranza delle persone vuole un processo e in questo ripone molta speranza. Che può essere solida e basata su elementi reali o avere le gambe fragili. Anche nei tentativi anteriori di aprire il processo, come nell'89 ad Algeri o a Lizarra Garazi nel 98, c'era una forte speranza. E anche oggi si vive questa sensazione nella società.

Gorka landaburu, giornalista ed editore. Vittima di ETA
Gorka Landaburu è direttore e uno degli editori di Cambio 16. Nel 2001 un pacco bomba di ETA gli è costato un pollice e un occhio. Piglio deciso, camicia a quadri pantalone chiaro e mocassino. Fra le vittime, Landaburu è uno di quelli che non partecipa alle rivendicazioni più esasperate della AVT, l’associazione dei famigliari delle vittime spagnole manovrata dalla destra di Mariano Rajoy. “C’è più ansia e desiderio di pace nel Paese Basco, che nel resto di Spagna. Anche se penso che la maggioranza della società spagnola vuole la pace. siamo alla fine di un percorso. Abbiamo notizie, le nostri fonti lo confermano, che ETA ha deciso di mettere fine a 40 anni di lotta o di terrorismo. La famiglia di Gorka Landaburu ha una storia del tutto particolare: il padre era il vice del presidente basco in esilio, Aguirre, che governava dalla Francia “E così io ho conosciuto tutti i padri fondatori di ETA – dice Landaburu - ETA ha minacciato me e mio fratello 23 anni fa perché a loro non piaceva quello che scrivevamo nella rivista Cambio 16, quando dicevamo che un crimine è un crimine, un atto terrorista è un atto terrorista e un ricatto è un ricatto”. “Il mio attentato avvenne il 15 di magio del 2001. Ho aperto una busta che era stato passato dalla mia scorta. Ma assomigliava a una lettera che mi manda tutti i mesi un sindacato di imprenditori. Avrei dovuto aprirlo il 14 e non il 15. Perché la mia abitudine era di aprire la posta di sera a casa, mentre tutta la famiglia guardava la televisione. Ma quella sera ero così stanco che decisi di aprirlo il giorno dopo. Mi sveglio, ero da solo in casa, e vado a fare la doccia. Il bagno principale era occupato e così salgo al piano superiore, sono senza asciugamano. Vedo sul tavolo la busta e non so perché mi avvicino alla lettera e la apro. Mi esplode in mano, ma l’impatto maggiore dell’onda espansiva va verso la sedia del mio tavolo di lavoro che rimane distrutto dall’esplosione. Quel pacco bomba mi ha rovinato le mani e mi ha lasciato cieco da un occhio, quello sinistro”. Ma Gorka landaburu, nonostante dito e occhio sostiene di essere favorevole a un processo di pace

Arnaldo Otegi, portavoce di Batasuna
“Esiste un processo. Ma il problema è che ognuno gli dà un significato differente. Dal nostro punto di vista c’è un processo di pace perché il nostro sistema di autogoverno è ormai del tutto sorpassato. Tutti sono coscienti che ci vuole un cambiamento politico e che questo debba avvenire con responsabilità. Siamo una nazione che ha diritto a decidere liberamente e democraticamente. Il problema è che stiamo vivendo ancora dinamiche del passato: detenzioni, illegalizzazione, repressione. Lo sanno tutti che c’è un elemento base per far iniziare il processo: il rispetto mutuo. Non si può pensare che un negoziato parta quando ci sono continui ostacoli repressivi contro una delle parti in causa”. Un processo, molti problemi. Gli chiediamo quali sono i principali quesiti da risolvere per Zapatero e per ETA. “Zapatero ha molti problemi. Uno sicuramente è che in questo momento stiamo portando avanti un processo di dialogo non con uno stato, ma solo con il governo. Lo stato è diviso. Il partito popolare è un problema. E Zapatero ha anche problemi interni. Zapatero sa che la democrazia è l’unica via che potrà assicurare la stabilità del processo”. Ed ETA? “Non mi azzardo a dire quali problemi abbia ETA in questo momento, ora non saprei definirli . Credo che ETA abbia contribuito in modo evidente a costruire questa congiuntura politica. Lo ha fatto in modo convinto, dal mio punto di vista. E lo ha fatto coerentemente e in maniera coesa. E credo che in questo momento, più che un problema, ETA abbia un dubbio, perchè non sa se lo stato spagnolo abbia sufficiente maturità politica per capire la necessità di passare dallo scenario dello scontro a quello del dialogo democratico e della parola. Ed è un dubbio che anche noi condividiamo”.

Xavier Arzalluz, già presidente del governo basco e presidente del PNV
Si sale, si scende sulle colline, le montagne basche, verso il Botxo, la conca come viene chiamata Bilbao. Si apre di colpo e all’improvviso. Il titanio del Guggheneim e la sua architettura a forma di nave. Incastrato nella città, lungo il fiume che accompagnerà tutte le frazioni della Gran Bilbao fino a buttarsi nel mare. Xavier Arzallus, navigato politico, ex presidente del Partito Nazionalista Basco, grande amico di Francesco Cossiga, democristiano della prima ora, sta terminando una trasmissione radiofonica. Poi ci riceve. La sua oratoria è impressionante, accompagna le parole con gesti studiati delle mani. Racconta: “Da dieci anni in ETA c’è stato un settore di combattenti che credeva che era arrivato il momento di lasciare le armi, perché strategicamente non era più il momento. E in quel periodo lo stato francese è cambiato nella sua politica su ETA, inaugurando una belligeranza che fino a Mitterand era stata quasi nulla. A tal punto che le due polizie adesso operano addirittura in maniera congiunta. Oggi ci sono 700 guardia civil e polizia, più confidenti e spie che sono lì, nel territorio francese a vigilare i contatti fra famigliari e amici. Da una parte e dall’altra della frontiera. Si suppone anche che l’inflitrazione di spie in ETA sia forte e non solo degli 007 francesi o spagnoli, ma anche di quelli tedeschi. Tutti vogliono sicuramente essere informati. Questo per dire che il territorio francese scotta, ma che una organizzazione armata ha bisogno di un santuario da dove impartire le direttive. Ci sono una serie di situazione in cui la gente con buon senso ha capito che siamo arrivati alla fine di questa maniera di lottare. Fatto che non significa di per se stesso che tutta l’organizzazione sia d’accordo, ci sono molti in ETA che credono a quello che dicono e che poi si comportano in maniera intransigente, quasi fanatica. Molti in ETA credono che siamo di fronte a una resa che avviene per piccoli passi. E anche nel mondo del Movimento di Liberazione Nazionale (MLNV) mi domando cosa dirà molta gente: molti duri che non vogliono certo fare dei passi indietro. Allora io non so dire se tutto andrà bene. Ma un mio amico Gorka Aguirre,che sa molto, dice che la decisione di lasciare le armi è ormai presa.

Txillardegi, uno dei fondatori di ETA
Txillardegi, Jose Luis Alvarez Enparantza , è uno dei fondatori di ETA. Ne uscì nel 1967, 17 anni dopo averla fondata. Da qualche anno fa parte di Aralar, una scissione di Herri Batasuna, convinta da tempo che la lotta armata sia da abbandonare. “Quando morì Franco fu un momento in cui alcuni dissero che era tempo di abbandonare la lotta armata. Questa è una posizione estrema. Altra posizione estrema è quella che dice che qui è sempre necessaria la presenza di una ETA attiva, perché lo stato non concederà mai nulla. Allora: quale è la posizione intermedia? è quella che abbiamo, per esempio, in Aralar. Crediamo che siano passati già abbastanza anni in cui ETA ha creato più problemi di quelli che ha risolto. Non parlo di morale, sto parlando di politica. Da sei, otto anni abbiamo questa impressione. ETA crea quasi più problemi alla sinistra indipendentista che altro. Ci sono state una serie di azioni e di fatti che sono state davvero impopolari o addirittura controproducenti, come il caso di Miguel Angel Blanco. E non sto giudicando da punto di vista dell’ingiustizia personale, questo è pacifico, e non sto nemmeno parlando di morale. Lo dico proprio dal punto di vista politico. Tutte queste cose si sarebbero potute evitare se ETA avesse avuto l’intuizione sufficiente per decidere una tregua già da molto tempo. Non dico di abbandonare la lotta armata, ma una tregua sì”. “Non so se siamo di fronte a una fine di ETA. Non dipende solo da ETA. Ci sono due soggetti come lo stato spagnolo e quello francese. Dal punto di vista basco io non credo che ci sia interesse nel proseguire la lotta armata. C’è gente come questo Aguirre, del paese di Mondragon, che sta passando 25 anni in carcere. E chi è che può avere interesse nel fatto che cose del genere vadano avanti? Per di più, agli spagnoli non importa nulla che ci siano persone che muoiono in carcere. Non li preoccupa, non interessa… e allora che tipo di ritorno politico c’è in questa sofferenza? Bisogna chiederselo. La sofferenza personale e morale è immensa e ci sono centinaia di prigionieri, migliaia di esiliati. E allora, anche se non piace, si deve essere realisti. Cambiare cheap, come si dice adesso”.

* * *

Il momento migliore, secondo uno storico, il dubbio di ETA sulla maturità politica del governo. E sulla decisione strategica dell’organizzazione armata pochi dubbi. Sono varie e autorevoli, come si legge, le interpretazioni che propendono per una decisione di abbandono della armi già presa. Ma in una trattativa nessuno regala vantaggi, e il compromesso si gioca sui particolari. Per arrivare a una leva tattica così rischiosa come quella di un attentato, però, ci deve essere più di uno scoglio di sostanza e più di una divergenza su che cosa era stabilito dovesse accadere negli ultimi mesi e che tipo di scadenza. C’è un anello debole in questa catena. È la società. Tutta: quella che vuole l’indipendenza, quella che vuole essere Spagna e la grande fetta di quelli che non se ne curano, ma che vivono sulla propria pelle le alterne vicende del conflitto. Quello che Zapatero sa, e che Otegi dice, e che anche ETA sa è che la società basca, come quella spagnola, sono in maniera largamente maggioritaria bisognose di un accordo che superi la violenza politica o la chiave repressiva, di polizia o giudiziaria. Forse è proprio quello sociale l’attore capace di inserirsi in una dinamica che, a oggi, appare più che sospesa, ma non troncata in toni così definitivi come vorrebbero alcuni dei protagonisti.

Una rivoluzione copernicana

Ottobre 2005 -Il velodromo di Anoeta è appena fuori San Sebastian. Migliaia di militanti ascoltano personaggi storici del movimento Herri batasuna. Si alternano al microfono, a lungo. L'ultimo intervento è quello in cui i portavoce di Batasuna, dal basco Unità, lanciano forse la sfida più forte di un lungo percorso politico, iniziato a fine anni 70. La vera rivoluzione copernicana sta in un dato, tanto semplice e netto da rimanere quasi fuori dalle prime analisi dei grandi media: non è più Herri batasuna, o Batasuna, che promuove politicamente una proposta di pace o di via negoziale lanciata da ETA. E' esattamente il contrario. Il Movimento che si è svilippato, che ha sofferto decenni di repressone, con un periodo di particolare recrudescenza durante i dieci anni di Aznaridad, quel movimento che sta pagando con un prezzo altissimo di arresti, carcere preventivo con accusa di terrorismo, torture nei commisariati, violenze, stupri, si presenta in un velodromo per dire che prende l'iniziativa. E' ben oltre l'aver capito uno degli errori del 1998, quando con la tregua a tempo indeterminato di Eta la sinistra indipendentista non si rese protagonista del tavolo di discussione politica, che rimase invece su un terreno di incomunicabilità fra gli emissari di Aznar e quelli di Eta. Ad Anoeta un partito messo fuori legge, decine di migliaia di elettori privati dell'unica arma politica di un sistema rappresentativo, la possibilità di poter scegliere il proprio voto, decidono una svolta. Storica. Ricordiamo per un istante la cerimonia: omaggi ai soldati resistenti baschi, filmati e fotografie che mostrano i soldati morti per la causa, anche i militanti dell'organizzazione armata. Mariano Ferrer, un acuto editorialista basco, raccontava di una scena paradossale: applausi e grida di saluto per quelle immagini, che mostravano il dolore di chi ha scelto la via militare per la causa, e stesso entusiasmo, stessi applausi al momento della dichiarazione che inaugurava un nuovo cammino, un nuovo portagonismo politico. Tanto più rivoluzionario, anche perchè in condizioni anomale, messo fuori legge ed equiparato nelle liste nere europee e statunitensi a Eta.

Il significato e il valore di quella proposta, se sono sfuggiti a molti analisti dei grandi media, non è rimasta lettera morta per chi capisce il linguaggio del mondo abertzale, vale a dire indipendentista e di sinistra. L'ha inteso il partito nazionalista Basco del presidente Ibarretxe, i socialisti baschi e qualche avveduto consigliere di Zapatero. L'ha inteso anche la destra, che però è la stessa destra che grida ancora oggi a una partecipazione di Eta nelle stragi dell'11 marzo, la grande menzogna degli ultimi giorni del governo Aznar.
Sono paarole perfettamente chiare anche alle latitudini catalane, dove i socialisti governano con Esquerra Republicana, formazione indipendentista di sinistra che sta giocando un ruolo importante. Mancano i fatti, al di là delle parole: Batasuna si è assunta un ruolo non facile e rischioso, per le libertà individuali dei propri militanti. Dal governo, e anche da Eta in maniera diversa, le parole hanno aperto grandi possibilità. Sempre che non si tratti solo di parole. E che, nonostante le logiche di convenienza, alle parole seguano i fatti . Visto che non le hanno precedute.

Arnaldo Otegi è il leader di Batasuna, la sinistra indipendentista basca. E' l'uomo che nell'autunno del 2004 ha letto davanti a migliaia di persone la proposta di pace di batasuna e che da mesi sta lavorando incessantemente per tessere una tela di relazioni politiche fra partiti e tecniche fra stato ed Eta che porti a un processo di pace. E' il leader che ha scritto in quel documento il primato della via politica, rispetto a quella armata. Arrestare Otegi, per un'inchiesta quasi dimenticata dove si sostiene il teorema mai provato del giudice Garzon Herri batasuna uguale a Eta attravreso una serie di sillogismi indiziali, viene considerato un segnale politico preciso. Molti altri dirigenti di batasuna sono stati processati per le stesse ragioni , ma subito rilasciati. Il giudice che ha deciso per il carcere è agli ordini del fiscal general dello stato, eletto da Zapatero. Una decisione come quella di ieri notte non è di quelle che non passano dalle stanze della presidenza del governo. Oggi il quotidiano Gara, voce del nazionalismo di sinistra, parla di un Zapatero che tira la corda e avverte: l'arresto non sembra essere una mossa in più su una già complicata scacchiera. Assomiglia di più a rompere la scacchiera e buttarla dalla finestra.

ETA, il principio della fine?

L’organizzazione armata basca dichiara un “alto el fuego permanente”

Mercoledì 23 marzo 2005, ore 12.15 - Un video alla televisione pubblica basca, un comunicato al quotidiano Gara. La tregua a tempo indefinito, permanente è l’aggettivo utilizzato come scrisse l’IRA all’inizio del negoziato di pace irlandese, è scattata alla mezzanotte di venerdì 24 marzo. Cautela e speranza, nelle prime parole del premier spagnolo José Luis Rodriguez Zapatero. Il comunicato è scarno, secco, le parole concise. ETA offre dialogo, una tregua che apre il negoziato, la volontà di affrontare un processo lungo. Nel comunicato si dice testualmente che tutte le opzioni politiche saranno possibili nel Paese Basco, ma che dovrà essere la società di Euskadi a decidere il proprio futuro. ETA non sparava dal maggio del 2003, la discussione interna al collettivo è stata lunga e sicuramente sofferta. Alla fine ha prevalso la linea della trattativa, anche grazie al protagonismo politico di Batasuna, la formazione indipendentista e di sinistra messa fuori legge proprio dal Psoe, partito socialista e dal PP, la destra post franchista dell’allora premier José Maria Aznar.

Madrid
La notizia del comunicato è un terremoto in terra spagnola. Giornali, televisioni, edizioni on line impazziscono, la rete è sovraccarica. Fioccano le prime dichiarazioni; cautela in attesa delle parole del premier e anche qualche frase scomposta da parte della destra. Poi parla Zapatero, al Congresso. È serio, ha due grandi borse sotto gli occhi, segno di chi sapeva che il giorno avrebbe portato notizie. Il tono è fermo e grave, le parole pesate una a una. Cautela e prudenza, dice, ma anche speranza. La strada sarà lunga, dura e difficile. Una promessa che ripete più volte, ma si vede che c’è soddisfazione nel suo aspetto. Convoca immediatamente il leader della destra Mariano Rajoy, che ha già scagliato contro il governo socialista parole dure, ma che dopo qualche giorno e un colloquio di due ore e mezza con lo stesso premier sarà costretto a dire che appoggia l’azione del governo, chiedendo di non negoziare con i terroristi e di salvaguardare l’unità del Paese. La destra non rinuncia alla sua politica di repressione, ma comprende che l’occasione è storica e si ricorda, soprattutto, che allo stesso Aznar non venne lesinato appoggio quando ebbe la sua grande occasione, nel 1998 con la tregua legata al patto di Lizarra Garazi.

Anoeta, novembre 2004
Nel velodromo di Anoeta, poco distante da San Sebastian, provincia di Guipuzkoa, Batasuna ha organizzato la presentazione della sua proposta di pace. La tregua di Eta può e deve essere fatta risalire a questa iniziativa della sinistra indipendentista. C’è un palco, diversi oratori e le immagini del passato e del futuro: scorrono sui megaschermi i capi storici di ETA, le facce dei prigionieri politici e oltre 15 mila persone applaudono. Stessi applausi quando il portavoce del movimento Arnaldo Otegi legge il piano di pace – Orain Bakea Orain Herria, Ora la pace, ora un popolo – è dice a chiare lettere che l’unica via per la soluzione del conflitto è quella politica. Nel velodromo si consuma un rituale di passaggio. Una rivoluzione copernicana: per la prima volta è la formazione politica a diventare protagonista di una proposta di pace. Fino ad allora era stata la stessa ETA a decidere come e quando avanzare dei documenti di questo tipo. La proposta elaborata da Batasuna è semplice: due tavoli di negoziato. Il primo riunirà tutte le forze politiche e gli agenti sociali baschi per individuare una soluzione alla richiesta di autodeterminazione di una parte della società. L’altro tavolo sarà più ‘tecnico’ e vedrà come protagonisti gli stati, Spagna e Francia, oltre a ETA. Qui l’oggetto della discussione saranno vittime, prigionieri politici, smilitarizzazione e distruzione delle armi e dell’arsenale dell’organizzazione. Batasuna ha compiuto un passo storico, un lavoro discusso nelle assemblee di base, poi quelle provinciali, infine quelle ‘nazionali’. È un vero e proprio processo che ha attraversato i militanti, che ha cercato condivisione su un passo così importate. Quando arriva la tregua è più che mai chiaro chi è stato a trattare, ad aprire i passaggi ostruiti, a usare il cesello al posto della clava politica. Come è altrettanto chiaro che l’uscire allo scoperto, arrivare a una fase in cui il negoziato può emergere causerà alcuni problemi. Primo fra tutti quello di legittimare, da parte spagnola, un interlocutore chiave, quale Batasuna, per il processo di pace.

Batasuna
La vice presidente primiera del governo Zapatero è la signora De la Vega. Dvanti ai cronisti dice quello che ai primi di aprile ripeterà anche il premier in persona. In democrazia gli attori dei processi devono essere dei soggetti legali, perché le democrazie espellono tutto ciò che non è legale. In realtà, la frase si presta a qualche sottolineatura, in un meccanismo di scarsa logica. Herri Batasuna, Euskal Herritarrok, Batasuna e tutti gli altri nomi che ha rivestito il Movimento dij Liberazione Nazionale basco a livello politico era un movimento perfettamente legale. E che non si è macchiato di nessun tipo di crimine, se si mantiene il concetto base che la responsabilità penale è personale e non può essere contestato il reato associativo sulle idee. Ci volle una legge, firmata Partido Popular e Partido socialista obrero de Espana, per arrivare al risultato tanto agognato dalla destra e da alcuni magistrati, che hanno fatto della repressione al nazionalismo motivo di carriera. Adesso, ironia della sorte, si pone il problema inverso, per i socialisti al potere: come fare per legittimare Batasuna in maniera pubblica? Come riammettere una formazione dichiarata fuori legge, bandita dallo scenario politico e che per di più quello scenario non l’ha mai abbandonato, anzi lo ha dominato acquisendo un protagonismo storico per una eventuale soluzione del nodo basco?

Carcere e repressione
Fra i motivi che portarono alla rottura della tregua del 1998, durata venti mesi, ci furono due fattori fondamentali. Il primo: Aznar non bloccò una politica repressiva che arrivò addirittura a vedere arrestati degli interlocutori del processo negoziale appena iniziato attorno a un tavolo in terra svizzera. Il secondo: mancava la capacità di poter avere intorno a un tavolo politico davvero tutti gli attori. E oggi i socialisti sono disponibili. Manca solo la destra, per ora. La tregua di ETA arriva in un momento particolare: tutte le dichiarazioni avevano tinte di forte ottimismo, quando di colpo si verificano due morti sul fronte carcerario. Sono due prigionieri politici: il primo viene trovato impiccato in cella. O, perlomeno, questa è la versione che viene fornita dalla direzione del carcere e che viene subito smentita dal medico forense, che riferisce di aver trovato il corpo già cadavere del prigioniero politico disteso sul letto, quindi già rimosso dalla scena del presunto suicidio. Per di più, le stringhe che il detenuto, Igor Angulo, avrebbe usato per impiccarsi non sarebbero mai dovute essere ai suoi piedi, a ben guardare il regolamento del carcere. Infine la fidanzata, che aveva parlato con lui proprio alcuni momenti prima l’orario della morte, afferma che Igor non aveva dato nessun segnale di squilibrio psicologico. Tre giorni dopo muore un altro detenuto politico, di infarto. Ma si viene a sapere che già da qualche settimana aveva denunciato dei forti dolori al petto e che non aveva ricevuto particolari cure. La rabbia che si diffonde nel Paese Basco porta Batasuna a convocare uno sciopero generale che vivrà alcuni momenti anche di tensione. Ed per quello sciopero il giudice Grande Marlaska, un magistrato che siede sulla sedia lasciata vacante da Baltasar Garzon ormai da molti mesi per un periodo sabbatico, non esita a mettere sotto inchiesta e a chiedere carcere per i portavoce di Batasuna. Che sono poi anche i protagonisti della fase negoziale politica. Insomma, un giudice rischia di far naufragare i piani studiati con perizia, il frutto di mesi di incontri segreti. Alla fine si svelerà con manifesta chiarezza la vera natura del potere giudiziario spagnolo, da sempre lgato a doppio filo all’Esecutivo. Il capo della pubblica accusa, il Fiscal general del Estrado, quindi di tutta Spagna, riunisce i magistrati e spiega loro che dopo la tregua di ETA dovranno tenere conto di una nuova situazione politica. Grande Marlaska, però, non può far la figura di chi ci ripensa nel giro di pochi giorni e spedisce il portavoce più noto di Batasuna, Arnaldo Otegi, dritto dritto in prigione, ma con la possibilità di uscirne al più presto sotto cauzione. Una cauzione che prevede duecentomila euro da versare.

Le prospettive
La Road Map per un negoziato c’è già. Zapatero l’ha detto chiaro e tondo in una importante intervista a El Pais, domenica 26 di marzo. Come ha detto che se si dovesse verificare un qualche incidente, l’esempio dell’IRA è illuminante, considererà blindato il dialogo. Sicuramente una delle pedine da muovere saranno i prigionieri politici, oltre 700 fra Spagna e Francia, in regime di dispersione carceraria. Il ministro francese della Giustizia si è già detta pronta a un cambiamento della politica penitenziaria. Zapatero potrebbe annunciare dei cambiamenti dopo il mese di giugno. Mentre tutta la società basca aspetta fra paure e speranze, augurandosi che questa volta sia davvero quello che Zapatero ha promesso: il principio della fine.

Chiuso il partito basco Batasuna

Corto circuito dello stato di diritto spagnolo sulle ali dell’11 settembre

13 settembre 2002 - Ventisei agosto; il giudice spagnolo Baltasar Garzon decreta la “sospensione cautelare” del partito politico basco Batasuna. Martedì tre settembre; il governo di destra di José Maria Aznar presenta la richiesta per la messa al bando di Batasuna al Tribunal Supremo, sulla scorta di un voto parlamentare maggioritario. Sono le date della tenaglia Garzon-Aznar che portano alla chiusura di Batasuna, considerato il braccio politico di Eta. Per la prima volta dal dopoguerra un partito politico viene chiuso in Europa; un precedente simile si ricorda in Turchia, caso che allora scatenò violente e scandalizzate reazioni europee.

Batasuna
Chiudere Batasuna – già Herri Batasuna nel 78, poi Euskal Herritarrok nel 98, quindi Batasuna nel 2001 – è sempre stato il sogno e l’obiettivo del premier spagnolo Aznar, oltre che del giudice Garzon, che sta complando dal 1998 il “sumario 18” in cui tesse, grazie ad informative della guardia civil, il disegno sulla struttura economica e finanziaria di Eta. Il parlamento spagnolo, su proposta del Partido Popular del premier e con l’accondiscendenza dei socialisti guidati da Zapatero, è arrivato a votare una Ley de partidos (legge sui partiti) che stabilisce quali possano essere le cause per chiedere la messa al bando di una formazione politica. I parametri scelti, per stessa ammissione degli estensori della legge, sono stati calibrati su misura su Batasuna e le sue pratiche di comportamento politico. Se Batasuna non condanna gli attentati di Eta, allora la legge prevede che un partito non è democratico se non condanna gli attentati, e via dicendo. Tutta la legge lascia una enorme discrezionalità nel perseguire reati di opinione; il dissenso rischia di divenire – attraverso una serie di semplificazioni gestite da massicce campagne mediatiche – terrorismo o complicità. Quali siano i vincoli fra Batasuna ed Eta è cosa nota ripercorrendo la stessa storia del Movimento di Liberazione Nazionale Basco; Batasuna persegue politicamente quegli stessi obiettivi politici che Eta vuole raggiungere con la lotta armata; autodeterminazione per via referendaria e socialismo. Per ammissione delle stesse primule rosse dell’antiterrorismo spagnolo, chiudere Batasuna significa dare ossigeno, e non soffocare, l’organizzazione armata Eta.

L’11 settembre e una legge di partiti per chiudere un partito
La legge che il parlamento e il governo spagnoli stanno usando per chiudere Batasuna, è stata concepita nel semestre di presidenza spagnola della Ue e sfrutta appieno la grande campagna mondiale seguita all’11 settembre newyorkese. La lotta al terrorismo, la crociata di liberazione lanciata da George W.Bush è stata vista da numerosi osservatori come uno strumento formidabile per i singoli stati che ne hanno approfittato per risolvere i propri guai interni. E così, nel semestre spagnolo, l’Unione europea è riuscita a iscrivere nella lista dei terroristi una lunga serie di associazioni basche che hanno a che fare con le famiglie dei detenuti per reati politici per il semplice fatto che quelle associazioni erano finite nel mirino del giudice istruttore Baltasar Garzon. Il super-giudice, che nell’arco di normali giornate riesce a lavorare contemporaneamente sulla questione basca, sui desaparecidos cileni, argentini e di tutto l’Operativo Condor, sul caso Telecinco e Berlusconi, oltre che su diverse indagini poco fortunate in materia di narcotraffico, è arrivato a chiedere una sospensione cautelare che di fatto significa una chiusura del partito. Nell’ordinanza di 375 pagine, Garzon vieta qualsiasi attività politica, pubblica o privata ai militanti del partito indipendentista; vietato convocare manifestazioni in favore di Batasuna, che siano esplicite, ma quand’anche alludano. Queste ultime ordinanze sono state in parte criticate anche dalla stampa spagnola, celebrativa delle indagini del magistrato. Il quotidiano filo-governativo El Mundo ha evidenziato qualche “sfumatura” da stato d’emergenza nei documenti della famosa toga.

“Dialogo, non repressione”
Adolfo Perez Esquivel, argentino, è stato premio Nobel per la Pace nel 1980. A suo tempo agì come mediatore fra il governo spagnolo di Felipe Gonzalez ed Eta, negli anni in cui i socialisti mantenevano sempre un contatto aperto con l’organizzazione armata e facevano comunque credere di essere disponibili a una via negoziale. “Chiudere Batasuna è un grave errore”, ha detto Esquivel, che ha criticato duramente la politica del premier spagnolo. “Aznar non ha mai voluto risolvere il conflitto basco; lo si è visto durante la lunga tregua di Eta del 98, quando tutti aspettavamo un gesto di distensione con il riavvicinamento dei prigionieri politici. Ma il governo ha causato ulteriori sofferenze alle famiglie e proseguito nella politica della dispersione”. Il premio Nobel è convinto che “per risolvere la questione basca debbano essere i baschi stessi a convocarsi in una grande assemblea, una consulta popolare e decidere. Non piacerà a Madrid o magari non piacerà anche a Eta, ma quando i popoli decidono di fare una cosa, la fanno”. Perez Esquivel ha una critica anche per il giudice Garzon: “Sbaglia – dice – a confondere chi pratica la lotta armata e chi sceglie l’opzione politica; non è la stessa cosa”.

Baschi contro baschi
Gli ordini del giudice spagnolo, nel Pese Basco, sono stati fatti eseguire dalla polizia autonoma basca (Ertzaintza) e non da quella spagnola. Il fatto non è di secondaria importanza, anzi. La polizia basca è infatti alle dipendenze del governo autonomo basco e quindi di chi lo sta reggendo: il Partito Nacionalista Vasco (PNV), cattolico cristiano e moderato. I nazionalisti moderati, negli ultimi tempi, stavano portando avanti una politica a muso duro con Madrid per ottenere la piena applicazione dello Statuto di Autonomia. Ma quando la polizia basca ha ricevuto l’ordine di andare a chioudere tutte le sedi di Batasuna e anche tutti i bar del popolo(herriko tabernas), c’è stato un attimo di smarrimento: eseguire quell’ordine avrebbe significato chinare il capo di fronte a un ordine di Madrid contro dei baschi. Per un partito nazionalista, se pur moderato, non è cosa da poco. Dopo 24 ore di stallo, il governo basco ha mandato la sua polizia autonoma, consumando la frattura fra baschi. Juan Mari Juaristi è un membro dell’Eesecutiva del Partito Nacionalista Vasco. Raggiunto a San Sebastian ha speigato che: “La chiusura di Batasuna è un grave errore da parte del governo spagnolo, perché rappresenta una parte di questa società. Qualodo i baschi decideranno di cancellare Batasuna, lo faranno nelle urne”. Alla domanda sul perché avessero inviato la polizia basca, il dirigente del partito di maggioranza è stato esplicito: “Si è trattato – ha detto- di scegliere. Potevamo rifiutarci, ma sapevamo che ci avrebbero riempito di agenti della Guardia civil e della Policia nacional. Sarebbe stata una vera invasione. Per questo abbiamo deciso di mandare la polizia basca”. La spiegazione, come ci si poteva attendere, non è piaciuta ai militanti di Batasuna che hanno accolto la polizia autonoma che chiudeva le loro sedi al grido di “PNV spagnolo!”, uno dei massimi insulti che un nazionalista basco possa rivolgere a un altro nazionalista basco.

Il futuro di Batasuna
Gli avvocati di Batasuna stanno lavorando a ritmo serrato. Jone Goritzelaja, che è parlamentare del partito, sta preparando un ricorso contro l’ordinanza di sospensione del giudice Garzon e una memoria contro la domanda di messa al bando del parlamento e del governo spagnoli. Koldo Gorostiaga, eurodeputato di Batasuna, sta interessando le autorità europee, in un infaticabile tam-tam che non trova reazioni in Europa. IL giudice Garzon, prima di arrivare alla chiusura de facto di Batasuna, aveva illegalizzato Gestora pro amnistia (in difesa dei prigionieri politici) Askatasuna (l’associazione nata dalle ceneri della precedente) Haika e Segi, le associazioni dei giovani indipendentisti. Proprio questi ultimi sono soggetto di un dato da considerare con molta attenzione: l’ultimo campo-ritrovo che hanno organizzato, nelle provincie basche francesi, ha contato la presenza di 23mila fra ragazzi e ragazze. Batasuna - dice la legge sui partiti – una volta messo al bando non potrà rifondarsi sotto altro nome. In ogni caso la sospensione di Garzon vale per tre anni ed è prorogabile. Serve la tenaglia, giudiziaria e politica, contro gli indipendentisti di sinistra? Avrà effetto su Eta? Ha risposto lo stesso premier Aznar; ha detto chiaro e tondo che Eta proseguirà senza accusare particolarmente il colpo.

Il corto circuito dello Stato di diritto
Poche e solitarie le voci che si sono alzate in Europa e nel mondo per un fatto storicamente significativo come la chiusura di un partito. Intellettuali e politici si trascinano in discussioni sulla condanna o meno della violenza terrorista e se il silenzio di fronte ad attentati significhi giustificare, quando non approvare. Si perde la prospettiva più alta, quella che riguarda la maturità di un sistema giuridico e legislativo, quello di uno Stato di diritto che riesce a dialogare con un’istanza politica minoritaria per trovare soluzioni politiche. Molti intellettuali rifiutano paralleli con il caso irlandese. Genesi ed attori sono decisamente diversi, ma il ruolo di determinati soggetti è la stessa. In questo senso Sinn Fein è paragonabile a Batasuna, se considerati espressione di istanze politiche che Ira ed Eta rivendicano con armi e terrore. Stormont è stata una realtà, nonostante le diffidenze e i problemi che ancora avvolgono il processo di pace irlandese. In Spagna nessuna Stormont, ormai. Il dialogo del governo sta nella chiusura di un partito, sette seggi al parlamento autonomo, un eurodeputato, oltre 140mila voti, una percentuale di rappresentatività che oscilla fra il 10 e il 20% dei votanti. Un pericoloso precedente per le democrazie. [angelo miotto]